Il 3 novembre 2025 è stata pubblicata un'interessante sentenza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, relativa ad un ricorso avente ad oggetto una polizza Outside Director Liability, c.d. ODL.
La differenza di questa polizza, rispetto all'ordinaria D&O, e che tale garanzia aggiuntiva copre i rischi di un amministratore o di un dirigente che partecipa come membro del Consiglio di Amministrazione di una società controllata o di un ente esterno, su incarico della società contraente, e non solo nell'ambito delle attività svolte in riferimento a quest'ultima.
In particolare, il caso oggetto della sentenza riguarda la seguente fattispecie.
Nel giugno del 2017, la società controllante, contraente della polizza, ha denunciato due sinistri relativi a fatti commessi dal Presidente della stessa in qualità di componente del Consiglio di Amministrazione di un ente esterno, un noto istituto bancario.
Il primo sinistro riguardava una sanzione amministrativa comminata dalla Consob, mentre il secondo aveva ad oggetto l'azione sociale di responsabilità avviata dalla banca, in liquidazione coatta amministrativa, contro i suoi ex organi di amministrazione e controllo e, quindi, anche contro il Presidente assicurato.
La Compagnia Assicurativa aveva negato la copertura in forza del fatto che la nomina del Presidente della società contraente quale membro del Consiglio di Amministrazione della banca non era stata oggetto di una designazione della contraente, la quale aveva solo preso atto dell'incarico a nomina già avvenuta.
Nonostante tale diniego di copertura, nel novembre del 2019, venne chiesto all'Assicurazione il pagamento degli indennizzi relativi ai sinistri denunciati, per un importo pari a 474.408,31 euro.
In primo grado, il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda di indennizzo, in seguito accolta nel 2023 dalla Corte d'Appello meneghina in riforma della sentenza impugnata, che aveva accertato l'operatività della polizza e condannato la Compagnia Assicurativa al pagamento dell'indennizzo.
L'Assicurazione, quindi, ha proposto ricorso alla Cassazione sulla base di cinque motivi, ma la Suprema Corte ha esaminato solo il primo ed il quinto, accogliendoli, ed assorbendo i restanti motivi, cassando con rinvio la sentenza alla Corte d'Appello di Milano.
Il primo motivo riguarda la ragione del diniego di copertura sopra esposta.
Nello specifico, la polizza prevedeva che il ruolo dell'amministratore o del dirigente all'interno di una società controllata o di un ente esterno potesse avere luogo solo "su designazione o richiesta" della società contraente. Invece, come già ricordato, la nomina del Presidente nel Consiglio di Amministrazione della banca era già stata approvata, e meramente notificata alla società contraente.
Secondo il Giudice di legittimità, nell'interpretare il contratto occorre dare prevalenza al tenore letterale delle espressioni scelte dalle parti e, solo in caso di loro insufficienza, è possibile per il giudice avvalersi degli ulteriori criteri ermeneutici contenuti nel diritto dei contratti: "il primo strumento da utilizzare è il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate, mentre soltanto se esso risulti ambiguo può farsi ricorso ai canoni strettamente interpretativi contemplati dall’art. 1362 all’art. 1365 cod. civ. e, in caso di loro insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall’art. 1366 c.c. all’art. 1371 cod. civ.".
Sicché, si legge nell’arresto in commento, l'espressione "su designazione o richiesta" della società contraente, contenuta nell'art. 2 della polizza, non lascia spazio ad equivoci o dubbi, stante il suo chiaro tenore letterale: la garanzia avrebbe operato solo previa "manifestazione di volontà positiva" della società contraente sull'assunzione dell'incarico nella banca del proprio Presidente, attraverso la "designazione" del Presidente o la "richiesta" a quest'ultima per sottoporle tale ruolo.
Infatti, ad avviso della Corte, tale previa manifestazione di volontà assolve, infatti, la finalità di predeterminare il rischio trasferito, individuando ex ante gli incarichi oggetto della copertura ODL, consentendo all'Assicurazione di perimetrare il rischio che riguarda ciascun amministratore o dirigente avendo contezza degli incarichi esterni in cui è coinvolto in enti esterni rispetto al contraente.
Per quanto concerne il quinto motivo del ricorso, invece, lo stesso riguarda il riconoscimento dell'indennizzo anche in riferimento alla sanzione amministrativa pecuniaria comminata dalla Consob.
In particolare, con la sentenza di secondo grado la garanzia è stata ritenuta operante per tale profilo in quanto l'art. 2.25 della polizza esclude l'indennizzo per le sanzioni penali pecuniarie, e non anche per quelle amministrative.
Tuttavia, la Suprema Corte ha rilevato che non era necessaria tale ulteriore previsione, in quanto l'art. 12 comma 1 del D.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, cioè il codice delle assicurazioni private, già dispone che sono vietate "le assicurazioni che hanno per oggetto il trasferimento del rischio di pagamento delle sanzioni amministrative", al fine di preservare la finalità sanzionatoria-deterrente della sanzione amministrativa, che risulterebbe vanificata se il relativo onere economico venisse trasferito ad un soggetto diverso dall'autore dell'illecito.
Il disposto dell'art. 12 sopra citato, secondo la Cassazione, è un'ipotesi peculiare di nullità, definita c.d. strutturale del contratto, in quanto attiene all'illeceità di uno dei suoi elementi strutturali, la causa, a norma degli artt. 1343 e 1418 cod. civ.
In particolare, la nullità in questione riguarda quella che viene definita una c.d. norma materiale imperativa, attraverso cui il legislatore proibisce il raggiungimento di un determinato risultato, a prescindere dalla modalità con cui le parti lo realizzano, risultato che nel caso di specie consiste nel trasferire il rischio di dover pagare sanzioni amministrative pecuniarie.
In altre occasioni, infatti, questa tipologia di norme è stata efficacemente definita dalla Suprema Corte come un "divieto di risultato" per la rilevanza della ratio sottesa, che in qualsiasi caso "giustifica il divieto di legge, non i mezzi impiegati" dalle parti (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 9 ottobre 2018, n. 24917).
Ebbene, nel caso di specie, il fatto che la manleva fosse stata rilasciata solo dopo la commissione dell'illecito non rileva, in quanto comunque il risultato vietato dall'ordinamento era stato realizzato: è stato trasferito il rischio economico attinente ad una sanzione amministrativa pecuniaria, vanificandone così la finalità deterrente nei confronti dell'autore dell'illecito.
La Cassazione, quindi, ha enunciato il seguente principio di diritto: "in tema di contratti assicurativi, è nullo ogni accordo (ancorché concluso dopo la commissione dell’illecito) che determini il trasferimento dell’onere economico del pagamento di una sanzione amministrativa su un soggetto diverso dall’autore dell’illecito".
Come sopra accennato, tale affermazione è stata resa in riferimento a sanzioni amministrative imposte dalla Consob nei confronti della persona fisica che operava come amministratore di una banca. Si ritiene che il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte possa essere applicabile anche alle sanzioni amministrative tributarie, seppure più raramente riscontrabile nella casistica societaria; ciò in quanto la società risponde, in linea di principio, per tali oneri quale principale beneficiaria del comportamento elusivo o evasivo, mentre l'amministratore è coinvolto nella limitata ipotesi del concorso nella violazione (ad esempio, nel caso in cui la società sia una "mera fictio" creata nell'esclusivo interesse della persona fisica; cfr. Cass., sez. trib., 1° aprile 2022, n. 10651).