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Il criterio di imputazione delle spese di lite del terzo chiamato

22 April 2024

L'ordinanza n. 6144/2024 della Cassazione conferma che anche nella chiamata del terzo preteso effettivo responsabile le spese di lite devono essere imputate valutando se la chiamata in causa si è resa necessaria sulla base della prospettazione attorea o se, invece, è stata frutto di un'iniziativa infondata ed arbitraria del convenuto.

La Suprema Corte il 7 marzo 2024 ha emesso l'ordinanza n. 6144, con la quale ha confermato il proprio orientamento in merito al criterio di imputazione delle spese di lite sostenute dal terzo chiamato.

Il caso oggetto della predetta ordinanza riguarda la una domanda risarcitoria formulata per i danni che il convenuto aveva cagionato ad un immobile di proprietà dell'attore in occasione dell'edificazione di un fabbricato residenziale su un terreno adiacente, provocando anche l'arretramento della recinzione posta a confine tra le due aree.

Il convenuto si è costituto in giudizio chiamando in causa il direttore dei lavori, l'impresa esecutrice delle opere e la propria compagnia assicurativa; il direttore dei lavori, a sua volta, aveva chiamato in causa le sue compagnie assicurative.

Il Tribunale di Venezia ha rigettato la domanda attorea, condannano il convenuto al pagamento delle spese processuali in favore del direttore dei lavori e dei soggetti chiamati in causa da quest'ultimo; la Corte d'Appello di Venezia, in seguito, ha confermato la predetta statuizione anche in riferimento alle spese del secondo grado di giudizio.

Nel ricorso in Cassazione, tale decisione è stata impugnata con il secondo motivo di ricorso, per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all'art. 360 comma 3 c.p.c., quindi il ricorrente ha contestato la propria condanna al pagamento delle spese di lite nei termini anzidetti.

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, ha accolto il secondo motivo di ricorso e cassato con rinvio la sentenza di secondo grado, in quanto la Corte d'Appello si è discostata dall'orientamento consolidato della Cassazione sulla ripartizione delle spese legali sostenute dal terzo chiamato.

In particolare, la Cassazione ha confermato tale orientamento riaffermando il seguente principio di diritto: "in forza del principio di causazione - che, unitamente a quello di soccombenza, regola il riparto delle spese di lite - il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere  posto a carico dell'attore qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda; il rimborso rimane, invece, a carico della parte che ha chiamato o fatto chiamare in causa il terzo qualora l'iniziativa del chiamante, rivelatasi manifestamente infondata o palesemente arbitraria, concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa".

Per l'analisi del predetto principio di diritto, occorre innanzitutto premettere che la chiamata in causa del direttore lavori non è qualificabile come chiamata in garanzia, ma come chiamata in giudizio del terzo preteso responsabile dei danni allegati dall'attore: in questa seconda ipotesi, il terzo non viene chiamato in manleva dal convenuto, ma viene indicato come reale destinatario delle pretese dell'attore, con automatica estensione nei suoi confronti della domanda attorea.

L'istituto in esame è noto in giurisprudenza come il c.d. litisconsorzio alternativo, che consiste in un litisconsorzio necessario per dipendenza di cause: "nel caso di cosiddetto litisconsorzio "alternativo", sussistente allorché il convenuto nel giudizio chiami in causa un terzo, assumendo che questi debba ritenersi in via esclusiva tenuto al risarcimento del danno domandato dall'attore, quest'ultimo deve ritenersi vittorioso tanto se la domanda venga accolta nei confronti del convenuto, quanto se venga accolta nei confronti del chiamato in causa, al quale l'originaria domanda si estende automaticamente" (Cass. Civ., Sez. VI, 22 novembre 2022, n. 34278; cfr, anche Cass. Civ., Sez. I, 13 febbraio 2024, n. 3916; Cass. Civ., Sez. I, 28 febbraio 2018, n. 4722; Cass. Civ., Sez. II, 8 agosto 2003, n. 11946). Tale istituto non comporta un vizio di ultrapetizione della sentenza, atteso che proprio l'automatica estensione della domanda attorea verso il terzo consente al Giudice di emettere direttamente una pronuncia di condanna nei suoi confronti (Cass. Civ., Sez. II, 28 novembre 2013, n. 26638; Cass. Civ., Sez. III, 7 ottobre 2011, n. 20610).

Al contrario, invece, se il convenuto fa valere nei confronti del terzo chiamato un rapporto diverso da quello dedotto nei suoi confronti dall'attore, allora non ha luogo l'estensione automatica della domanda attorea nei confronti del terzo, atteso che in questo caso si è in presenza di una c.d. garanzia impropria: "Tuttavia la domanda dell'attore non è automaticamente estesa contro il terzo chiamato in causa dal convenuto, se questi fa valere nei confronti del terzo un rapporto diverso da quello dedotto in giudizio dall'attore, come nell'ipotesi di garanzia impropria" (Cass. Civ., Sez. I, 10 maggio 2017, n. 11450).

Ebbene, ad avviso della Cassazione, nel caso oggetto dell'ordinanza in commento i giudici di merito avrebbero errato innanzitutto nel ritenere che l'attore avrebbe dovuto estendere la propria domanda nei confronti del terzo chiamato, benché litisconsorte alternativo. Pertanto, poiché tale estensione non era stata svolta, la questione relativa all'eventuale responsabilità del terzo era rimasta assorbita.

In secondo luogo, secondo la Cassazione, la Corte d'Appello avrebbe dovuto accertare se la chiamata in causa del terzo si era resa necessaria a fronte della prospettazione attorea e delle difese del convenuto o se, invece, era stata formulata in termini meramente arbitrari e non connessi con la domanda di parte attrice: "la corte d'appello non ha correttamente applicato il predetto principio di diritto, in quanto, effettivamente, come dedotto dalla società ricorrente, non ha accertato se la chiamata in causa del terzo, sulla base della prospettazione (ex ante) dei fatti allegati a base della domanda di parte attrice e delle difese della parte convenuta, fosse del tutto arbitraria, in quanto priva di una logica e ragionevole connessione con tale domanda, al punto da potersi ritenere addirittura del tutto eccentrica rispetto alla stessa e da costituire, quindi, un vero e proprio abuso dello strumento processuale e del diritto di difesa, ma si è sostanzialmente limitata a valutarne l'infondatezza virtuale".

La sentenza in commento è condivisibile in quanto conferma che il criterio mediante il quale il giudice deve ripartire le spese di lite del terzo chiamato è quello della fondatezza della sua chiamata in causa in rapporto alla domanda attorea e alle difese del convenuto. Pertanto, proprio nell'ambito del litisconsorzio alternativo tale principio si apprezza maggiormente, in quanto anche in assenza di estensione della domanda attorea nei confronti del terzo le spese di lite di quest'ultimo possono essere poste a carico di parte attrice, se risulta che la chiamata in causa si è resa necessaria a fronte delle infondate contestazioni dell'attore.

 

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